La tradizione dell'artigianato nella metallurgia, un'arte praticata fin dai primi tempi, era durante il periodo speculativo della cultura umana, satura di filosofia. Questo era particolarmente vero in Egitto, dove la metallurgia, in quanto fonte di ricchezze reali e soprattutto dei metodi di estrazione e lavorazione dell'oro, erano custoditi come un segreto reale. In epoca ellenistica l'arte della lavorazione dei metalli, la cui conoscenza si è diffusa all'estero e per la quale l'interesse era stato elevato a carattere quasi scientifico, fu penetrata dalle teorie filosofiche dei Greci: le idee dell'elemento e dell'atomo dei filosofi della natura, Platone e Aristotele, e le opinioni religiose dei neoplatonici. Poiché la scienza chimica (alchimia, alkimia, "al" è l'articolo arabo anteposto al greco χημεία) ci è pervenuta dagli arabi (siriani, ebrei, ecc.) si è a lungo creduto che avesse un'origine araba. Eppure si scoprì più tardi che gli arabi, sebbene vi aggiunsero molto del loro, non erano che i conservatori della conoscenza greco-ellenistica, e siamo convinti che gli alchimisti avevano ragione quando indicavano nelle loro tradizioni il leggendario Ermete Trismegisto come loro antenato. Questo personaggio leggendario è, in realtà, il dio egizio Thoth, identificato con Hermes al tempo dei Tolomei. Fu onorato come il Signore della più alta sapienza ed era pratica prediletta assegnargli la paternità di opere filosofiche e soprattutto teologiche. Le congregazioni di Hermes furono formate per praticare il culto e avevano la loro speciale letteratura di Hermes. In tempi successivi la figura divina e regale di Ermete fu ridotta a quella di un mago. Quando parlerò in seguito delle scritture ermetiche intendo (secondo le suddette tradizioni) le scritture alchemiche, però con una qualificazione di cui si parlerà più avanti. L'idea della produzione dell'oro era così dominante nell'alchimia che, in realtà, si parlava di arte dell'oreficeria. Significava la capacità di ricavare oro dal materiale più vile, in particolare da altri metalli. La credenza nella trasmutabilità della materia non era affatto assurda, ma va considerata come una fase dello sviluppo del pensiero umano. Sotto le influenze filosofiche sorse la dottrina secondo cui i metalli, come gli esseri umani, avevano corpo e anima, essendo l'anima considerata una forma più fine di corporeità. Dicevano che l'anima o materia primitiva (prima materia) era comune a tutti i metalli, e per trasmutare un metallo in un altro dovevano produrre una tintura della sua anima. In Egitto si pensava che il piombo, sotto il nome di Osiride, fosse la primitiva base dei metalli; più tardi, quando fu scoperto l'ancora più plastico argento vivo (mercurio), lo considerarono l'anima dei metalli. Pensavano di dover riparare quest'anima volatile con qualche mezzo per ottenere un metallo prezioso come argento e oro. Quel mezzo problematico, che doveva servire a tingere o trasmutare il metallo vile o il suo mercurio in argento o oro, era chiamato pietra filosofale. Aveva il potere di rendere sano (prezioso) il metallo malato (vile). Qui è nata l'idea di una medicina universale. L'alchimia desiderava infatti produrre nella Pietra filosofale una panacea che liberasse l'umanità da ogni sofferenza e rendesse gli uomini giovani. L'interpretazione alchimistica della nostra parabola è uno sviluppo di ciò che il suo autore ha cercato di insegnare con essa. Non abbiamo bisogno di mostrare che persegue uno scopo ermetico, perché lo dice lui stesso, e così anche le circostanze, cioè il libro in cui si trova la parabola. Sotto questo aspetto andremo più a fondo nell'esposizione dell'alchimia.

- Herbert Silberer