About the Book
Lo scopo del presente volume, non è quello ‒ come potrebbe a prima vista apparire ‒ di parlare, pro o contro che sia, delle associazioni segrete, di quel che furono o che sono; né di solleticare la naturale curiosità del lettore, facendo sfoggio di rivelazioni più o meno piccanti ed assurde, di strane cerimonie, di misteri e che so io. Delle associazioni segrete vi si parla, certamente; anzi esse costituiscono la parte fondamentale del lavoro stesso; e vi si parla con obbiettività di vedute, senza passione e senza preconcetto. Tutto il lavoro, invece, vuol essere il tentativo soltanto di un'opera organica, che, sulla scorta di documenti oramai indiscutibili, e di tradizioni accettate, faccia conoscere ‒ per quanto è possibile in tal genere di lavori ‒ l'influenza che quelle associazioni esercitarono - per imprescindibile necessità delle cose ‒ nella formazione del nostro ambiente politico e morale. É da questo punto di vista, io credo, bisogna considerare le sette. Il Risorgimento d'Italia è stato finora considerato come "una concezione" che ‒ con metodo alquanto sentimentale ed aprioristico ‒ si fa risalire ai più antichi tempi, e che, in un modo o nell'altro, doveva realizzarsi. E, forse, ciò sta bene, pur essendo malinteso spinto di patria. Non sta bene, invece, l'aver trascurato di rilevare il modo come ciò avvenisse; voglio intendere quella rivendicazione di noi stessi e quella preparazione che, sorta e mantenuta costante dall'intenso e continuo lavorio delle sette, è stata invece, dalla storia ufficiale, considerata come una virtuosa prerogativa insita negli italiani. E se è dato così un grosso frego alla vera storia d'Italia; storia non breve d'acquiescenza al servaggio, e d'incoscienza e di negazione di quell'italianità, che le sette dovevano svegliare e formare. Sì, è vero; con elegante e poetico gesto d'uomo altero ed indipendente, Ugo Foscolo ebbe ad esclamare: "A rifare l'Italia bisogna disfare le sette. Potrebbe, se non disfarle, reprimerle il ferro straniero; ma allo straniero gioverà prima istigarle, onde più sempre signoreggiare per mezzo d'esse l'Italia". E in questo senso lo straniero non lo voleva detto; anzi ci fu un momento che, come la Francia, anche l'Austria s'illuse d'esser riuscita nella bisogna. Eppure furono sempre le sette, accarezzate o non, che ostacolarono in tutti i modi la mala signoria straniera. "Le sette amano l'ozio scioperatissimo, e gridano pace; tendono a divorarsi fra loro, e provocano sempre il ferro dello straniero. E se alcune di loro bramano, o mostrano di bramare, la pubblica libertà, vorrebbero sempre dominare sole sugli altri". E, fino ad un certo punto, anche questo è ben detto; ma certamente il Foscolo non avrebbe ciò affermato, se, più che preoccuparsi dei singoli casi e degli individui, avesse considerato tutto quel movimento collettivo di rivendicazione e di preparazione, che, dal secolo XVIII, infondendo nelle fibre esaurite degli italiani sangue nuovo e nuovo ardimento, li rifece uomini. Ed era movimento derivato dalle sette, e tramandato di generazione in generazione nel simbolo misterioso delle sette. Eppure, le parole del Foscolo ebbero fortuna, e tutti i pappagalli d'Italia, come ben disse il Carducci, le ripeterono ai quattro venti, senza saper che si dicessero. Era una finzione come un'altra, e, purtroppo, di finzioni non manca la storia del nostro Risorgimento. (Oreste Dito)