Che la favola sia nota agli ebrei prima che agli indiani, è certo, e ben lo provano gli apologhi che si leggono nella bibbia, come quello nel libro dei Giudici, cap. IX, VXXM 8, di cui si valse Iotam, figlio di Gedeone, all'annunzio che i Sichemiti avevano eletto re Abimelech. Se il Weber avvisa che dalla Grecia la favola fu portata in India, il Vagner crede che gli apologhi greci abbiano origine indiana. Essendo nell'Egitto nata, e poi usata dagli Ebrei, sembra certamente aver poi fiorito prima che altrove nell'India, e avvalora questa sentenza anche il pensare che presso gli indiani fu sempre comune credenza la metempsicosi, e quindi natural cosa il far parlare le bestie in una favola. Prima di tutti i compilatori di favole c'è il Panchatantra che viene facilmente confuso con le compilazioni e le volgarizzazioni che ne vennero dopo. In lndia, il Panchatantra è di antestorica antichità, e il suo nome significa "I Cinque Libri", ossia "La Scienza della Condotta della Vita", e il compilatore fu il saggio Vishnù Carman. Quando la favola di Grecia passò nel Lazio, mutò aspetto. Cessò di essere una creazione dei popoli, e da uno all'altro nelle innumerevoli tradizioni pervenendo, se pure volle levarsi a più alto volo, che spiegar non potesse nelle versioni, altro non fece che porgerne umili e povere imitazioni. L'apologo, come dice un dotto scrittore (Cantù, "Storia della letteratura latina". Le Monnier 1864), nasceva dall'osservare le relazioni tra un fatto della Natura e un fatto analogo della vita umana, di modo che, preso nel suo carattere generale, acquistasse un significato per l'uomo ed esprimesse un insegnamento pratico. Nei tempi moderni, piuttosto che dall'osservazione e dalle immagini che offre la Natura, nasce da un contrapposto che si forma della mente delle persone e delle loro opere, e che può persino non trovare relazione alcune nella Natura. La favola antica era sapienza che i poeti poi tradussero in versi: mentre la odierna è dottrina di pochi che si cerca mescere alle menti grosse in facile scrittura. A chi ben le consideri, a queste moderne favolette non si fa quasi più il nome di apologo; esse sono un qualcosa fra l'apologo e la commedia, la quale presso gli antichi aveva appunto nome di favola: sono piccole novelle, sono conti morali, ma non sono ciò che gli Indiani, i Greci, ed ancor i Latini chiamarono "apologhi", e noi ricevemmo come tali. Cessata dunque la ragione dell'apologo, non per questo intendiamo dire che sia cessata l'allegoria: l'allegoria vuole esser bene distinta dall'apologo, il quale non è se non una speciale forma di quella. Cessata l'allegoria, cesserebbe pur l'uso metaforico delle parole, cesserebbero i traslati, cesserebbero le bellissime figure che fanno ricca e possente una lingua.

Indice dell'opera:

Capitolo I - L'Importanza di studiare la Favola antica
Capitolo II - Lo studio imperfetto della Favola in Italia
Capitolo III - Della Favola antica e specialmente dell'indiana
Capitolo IV - La Favola presso gli Ebrei
Capitolo V - La Favola presso gli Egiziani
Capitolo VI - Sindbad: Il libro della leggenda dei Sette Saggi
Capitolo VII - Della ragione della Favola nei primi suoi tempi e in Grecia
Capitolo VIII - Della sua condizione nel Lazio: Diventa imitazione
Capitolo IX - Cause della decadenza della Favola
Capitolo X - Ragioni della Favola nei tempi antichi
Capitolo XI - La volgarizzazione della Fiaba in Italia
Capitolo XII - Origine delle venticinque Favole
Appendice - Fedro: Favole & Panchatantra