About the Book
Romanzo storico e realistico, ambientato in un recente passato degli anni 1932-39 sulle colline del Monferrato astigiano, allo stesso tempo romanzo visionario di ciò che significa appartenere ad una famiglia, un innesto di generazioni, di vendemmie, di potature, di germogli, di torchiature di vinacce, di festose pigiature come metafora dell'esistere e dell'appartenere ad un vitigno, per i discendenti dopo due o tre generazioni, alla stessa "barbatella" di Barbera piantata, come esperimento dopo la filossera devastante ad inizio Novecento in uno dei paesi che ora fa parte del Patrimonio dell'Unesco. Nato dalla rielaborazione di un testo teatrale scritto a fine anni '90, il romanzo prende il nome dal titolo della sezione centrale "Il ballo dell'uva", con la riproduzione del quadro acrilico su tela dell'artista milanese Roberto Sironi. Romanzo familiare e corale, oltre ai personaggi, che vivono negli anni Trenta del Novecento, abbiamo il Coro dei discendenti, che commentano, a volte protestando, altre volte invocando o semplicemente ammonendo, quando fatti di quegli anni saranno condizionanti per la loro vita. Il Ballo dell'uva è la festa della vendemmia, della pigiatura nei "tini", nelle piccole botti, la gioia dopo un anno di lavoro, di speranze, di paure per il raccolto, è la gioia per l'uva in attesa di un'altra gioia, tutta terrena, quella per il vino che sarà prodotto con altra sapienza, altra cura. Il ballo dell'uva ha le sue malinconie e le sue ebbrezze, il sapore acre dei grappoli spremuti sotto i piedi, mordendo altri grappoli per dissetarsi mentre si pigiava con i piedi nelle "bigonce". C'è la passione di chi insegue l'amore correndo tra i filari su per le colline e non si faceva certo così per trovare un marito a quei tempi! Si parla di affetti familiari, di fatica e di lavori e di consuetudini ormai desuete non solo in città, ma anche nelle campagne. L'uva e il vino sono i protagonisti, per loro si vive e come loro si muore per diventare altro, avendo, però, la certezza di essere stati un gusto, un sapore preciso, una tentazione, un prodotto ben riuscito...oppure uva marcita già nei filari, uva colpita dalla grandine, uva scartata e gettata a terra nei filari. "Il ballo dell'uva" è il romanzo di tutte queste possibilità, di tutti questi casi, appartenendo allo stesso vitigno, esposti alla vita sulla stessa collina. Tra il destino e la libertà, tra la passione e il senso di dovere, si sceglie se amare o chi amare o si sceglie di non scegliere e di far decidere tutto dagli altri. A partire dall'originario testo teatrale "Grigio come i tuoi occhi", riferito agli occhi grigi della vera protagonista Maschio Gemma, il riferimento è sia al teatro classico greco -latino, fino a Manzoni, per la presenza del Coro, come alle opere teatrali di G. Lorca ("La casa di Bernarda Alba", "Nozze di Sangue", "Donna Rosita Nubile", "Jerma"). Negli anni, "La Casa degli Spiriti", di I. Allende e "Cent'anni di solitudine", di G. Marquez, possono essere emotivamente, più che letterariamente, vicini. Anche se letterariamente si potrebbero accostare per la geografia monferrina alle opere di Pavese ("La luna e i Falò", "Paesi tuoi"), di Fenoglio ("La Malora") o di Arpino o di Davide Lajolo, tutti autori di queste terre piemontesi tra Langhe e Monferrato, il realismo e la vita contadina sono una metafora di un modo di vivere e di sentire, anche là dove si cerca il dettaglio di un oggetto, di un piatto di cucina tradizionale è sempre per alludere ad una condizione dell'anima. Per questo sarebbe più accostabile al "realismo magico" degli scrittori sudamericani, in cui la divisione tra vivi e morti non è così netta, come nella "Casa degli Spiriti". Quanto c'è di realistico è trasfigurato, soprattutto dalle evocazioni o dall'intromissione dei discendenti, che a quel passato si sentono più legati che al loro stesso presente.