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Tutti conoscono il poetico mito della ribellione e della caduta degli angeli. Questo mito, che inspirò a Dante alcuni tra i più bei versi dell'Inferno, e al Milton un indimenticabile episodio del Paradiso perduto, fu da vari Padri e Dottori della Chiesa variamente foggiato e colorito, ma non ha altro fondamento se non l'interpretazione di un versetto d'Isaia e di alcuni luoghi, abbastanza oscuri, del Nuovo Testamento. Un altro mito, di carattere molto diverso, ma non meno poetico, accolto da scrittori sia ebraici che cristiani, narra di angeli di Dio, che invaghitisi delle figlie degli uomini, peccarono con esse, e furono, per punizione del loro peccato, esclusi dal regno dei cieli e convertiti da angeli in demoni. Questo secondo mito ebbe nei versi del Moore e del Byron consacrazione perpetua. Così un mito come l'altro presenta i demoni come angeli caduti, e la caduta rannoda a un peccato: superbia o invidia, nel primo caso; amor colpevole, nel secondo. Ma questa è la leggenda, non già la storia di Satana e dei compagni suoi. Le origini di Satana, considerato quale personificazione universale del principio del male, sono assai meno epiche e in pari tempo assai più remote e profonde. Satana è anteriore, non solo al Dio d'Israele, ma a quanti altri dei, possenti e temuti, lasciarono ricordo di sè nella storia degli uomini; egli non precipitò giù dal cielo, ma balzò fuori dagli abissi dell'anima umana, coevo a quegli oscuri Dei delle antichissime epoche di cui nemmeno una pietra ricorda i nomi, e a cui gli uomini sopravvissero, dimenticandoli. Coevo ad essi e spesso confuso con essi, Satana comincia embrione, come le cose tutte che vivono, e solo a poco a poco cresce e si fa persona. La legge di evoluzione, che governa tutti gli esseri, governa pure lui. Nessuno, che abbia qualche educazione scientifica, crede ormai che le religioni più rozze siano nate dalla corruzione e dal disfacimento di una religione più perfetta; ma sa benissimo che le più perfette si sono svolte dalle più rozze, e che in quelle per conseguenza si debbano cercare le origini del tenebroso personaggio che sotto vari nomi rappresenta il male e se ne fa principio. Se quello che si chiama periodo terziario, nella storia del nostro pianeta, vide già l'uomo, forse lo vide tanto simile al bruto da non potersi discernere in lui sentimento religioso propriamente detto. L'uomo quaternario più antico conosce già il fuoco, e sa far uso di armi di pietra, ma abbandona i suoi morti, segno certo che le sue idee religiose, se pur ne ha, sono quanto mai si possa dire scarse e rudimentali. Bisogna giungere a quello che si chiama dai geologi il periodo neolitico per ritrovare le prime tracce sicure di religiosità. Quale fosse la religione dei nostri antenati in quella remota epoca noi non possiamo saperlo direttamente, ma possiamo arguirlo, guardando a quella di molte popolazioni selvagge che vivono ancora sulla terra, e riproducono fedelmente le condizioni dell'umanità preistorica. Sia che il feticismo preceda l'animismo, sia che questo preceda quello nell'evoluzione storica delle religioni, le credenze religiose di quei nostri antenati dovettero essere simili in tutto a quelle che ancora professano i neri d'Africa o i Pellerossa d'America. La terra, che insieme con le vestigia delle loro abitazioni, con l'armi e gli utensili, ha serbato i loro amuleti, ce ne porge testimonianza. Essi immaginarono un mondo ingombro di spiriti, anime delle cose, e anime di morti, e da quelli riconobbero quanto loro incontravano di bene o di male. Il pensiero che alcuni di questi spiriti fossero benefici, altri malefici, alcuni amici, altri nemici, era suggerito dall'esperienza stessa della vita, nella quale profitti e danni si avvicendano costantemente, e si avvicendano in modo che, se non sempre, assai spesso, si riconoscono diverse le cause degli uni e degli altri. Nelle religioni più elevate gli spiriti malefici si mostrano meglio definiti e vanno acquis