About the Book
Questo libro non pretende di dire, e tanto meno di provare, nulla di nuovo, ma solo di raccogliere e ordinare alcuni elementi storici e letterari già noti, sebbene sparsi qua e là, certe osservazioni, induzioni o constatazioni utili ad aversi tutte insieme disposte, illustrate o accennate, intorno ad un argomento che di recente ha interessato, fors'anche appassionato, gli studiosi di Dante e il pubblico colto, al quale particolarmente il mio scritto s'indirizza: la questione cioè dei probabili o possibili rapporti letterari, o nessi genetici, fra la Divina Commedia e le letterature orientali, affermati e sostenuti da alcuni, negati ed esclusi da altri. Per mettere il lettore italiano in grado di giudicare da sè, senza lasciarsi andare a facili consensi o ad arbitrarie negazioni, mi è parso opportuno ed acconcio d'informarlo, come si dice, della questione, studiando, dopo una preliminare rassegna storica delle molteplici sicure relazioni fra Oriente e Occidente sino all'età di Dante, quanto questi seppe effettivamente, o potè sapere, della geografia, della storia e del pensiero (sia letterario sia artistico) orientali. L'esposizione piana e sommaria, necessariamente breve e spoglia di quella mostra di documentazione o erudizione, che per fortuna comincia a non piacere più nemmeno agli eruditi, forse non riuscirà inutile e sgradita agli studiosi e ammiratori di Dante, a quanti, senza diventare idolatri, hanno avuto e conservato fede salda nell'originalità e sovranità del nostro primo e maggior Poeta nazionale. Spero che chi ha detto e scritto a questo proposito "gli orientalisti stiano al loro posto", vorrà riconoscere l'ingiustizia dell'intimazione, e il danno che deriverebbe a molti studi da questo o simile giudizio sommario troppo semplicista. Si dovrebbe invece far buon viso, parmi, ed esser grati a simili tentativi, purchè fatti con serietà di preparazione e di metodo; incoraggiare, anzi, ed invitare gli orientalisti a rivolger la loro attenzione alle cose nostre, come gli occidentalisti sono i benvenuti e bene accolti quando indirizzano le loro ricerche al mondo orientale. Solo così si può affrettare e assicurare, in ogni più modesto campo di studio comparativo, storico o letterario, la ricostruzione della verità; la quale in siffatti argomenti è quasi sempre multilatere e complessa, spesso complicata, nè conosce differenze di punti cardinali, ma si concede e si rivela allo sforzo concorde di quanti la cercano con rispettosa volontà muovendo dalle più diverse parti, talvolta anche dalle più lontane. Comunque, oggi nemmeno il più modesto studioso di letterature romanze potrebbe o vorrebbe ripetere ciò che, alcuni anni or sono, sentenziava un altro pur chiaro e operosissimo nostro professore universitario: "Noi romanisti non pensiamo all'Oriente; lo lasciamo da parte, agli orientalisti sognatori, perchè per i nostri studi esso non importa nulla". Parole e propositi cattedratici, che rivelano - a non dir altro - una psicologia molto elementare, ed oggi, speriamo, del tutto superata, quantunque essa abbia per più di quaranta anni tenacemente e spesso acremente avversato ogni tentativo che in senso contrario (cioè per arguire e dimostrare influenze letterarie dell'Oriente sull'Occidente) facesse tra noi, con serenità e dottrina soda, il nostro più insigne iranista, venuto meno alla vita or sono appena alcuni mesi, e sembra che quasi nessuno se ne sia accorto nemmeno tra i nostri letterati e filologi di professione.